mercoledì 6 novembre 2019

...e ancora matrimoni!




La cerimonia indiana

Era la prima volta che prendevo un volo intercontinentale. Stare tutte quelle ore senza toccare il suolo terrestre contribuì a caricare il mio corpo dell’adrenalina necessaria per affrontare tutto il viaggio. 
L’arrivo in India è stato travolgente come un uragano al massimo della sua potenza. Qui non c’era niente, ma proprio niente, che assomigliasse alla realtà che avevo conosciuto fino ad allora. Esaurita la sorpresa iniziale, ho dovuto tirar fuori un enorme spirito di adattamento e non è stato sempre facile, dato che per me il massimo dell’avventura era rappresentato dal mangiarmi uno yoghurt scaduto da un giorno. 
Ho dovuto imparare a lavarmi con un secchio e una brocca di plastica, a convivere con una perenne aria condizionata, a rispettare le etichette e gli impegni sociali, a dimenticarmi della privacy e della solitudine e a fare i conti con i tanto famosi problemi intestinali.
Il nostro matrimonio, sebbene celebrato in un solo giorno invece che tre e presenziato da un centinaio di persone invece che un migliaio, è scivolato via senza che io me ne rendessi conto. Ero come un burattino, che tutti decidevano come manovrare ed io, per amore, ho lasciato che fosse così. Ho messo in un angolo, per un momento, il mio cervello pensante e sono stata spettatrice come tutti gli altri delle mie stesse nozze.
Fu un’esperienza stancante, ma ne valse la pena. Alla fine, ero stata accettata da questa piccola comunità, i cui membri portavano quasi tutti lo stesso cognome e guardavano lo straniero sempre con un certo scetticismo. 
Da allora, anch’io potei chiamarmi Patel come loro e di questo ne vado particolarmente fiera.

Il matrimonio italiano

Se per quanto riguarda la cerimonia in chiesa avevo pensato di aver più voce in capitolo, mi sbagliavo di grosso. Anche in questo caso, bisognava mettere d’accordo un po’ tutti, attenersi al bugdet e incrociare le dita che andasse tutto secondo i piani. Gli ostacoli incontrati durante i preparativi non furono pochi, ma riuscimmo a cavarcela sempre in qualche modo. 
Ricordo come fu particolarmente difficile la ricerca del prete. Al nostro matrimonio, avrebbero partecipato i genitori di lui, che sarebbero venuti per la prima volta in Europa in occasione di questo evento, altri parenti dagli Stati Uniti e un paio di amici da Berlino. Capite come un prete che parlasse inglese fosse necessario come l’aria.
Venimmo a scoprire della presenza di un giovane prete indiano in una parrocchia dalle mie parti e per noi fu come vincere la lotteria. La nostra euforia fu, però, subito spenta appena facemmo la conoscenza di questo individuo. Quando gli chiedemmo di celebrare le nostre nozze, la sua faccia diventò così seria e dura che per un attimo pensai che avesse capito male e che credesse di dover celebrare un funerale.
Quando, poi, lo informammo della nostra necessità di un prete che parlasse in inglese, allora fu proprio un “no” definitivo. A quanto pare, non sapeva una parola di inglese e quindi, per noi era fuori discussione. 
Fu un vero peccato! Soprattutto, perché sapendo che lui proveniva dal sud dell’India, dove l’hindi non è incluso tra le lingue parlate, un po’ d’inglese avrebbe dovuto masticarlo. Ne avemmo, poi, la conferma quando scoprimmo che, in quel paesino pugliese, lui s’impegnava addirittura a insegnare l’inglese ai bambini.
Alla faccia del compatriottismo!
Non capimmo mai perché lui non volle avere nulla a che fare con noi, ma poi alla fine che importava? 
Riuscimmo a trovare un altro prete, questa volta italiano, il cui inglese non era per niente male. Durante la cerimonia, fu in grado di passare da una lingua all’altra come se fosse qualcosa che faceva tutti i giorni.
La cerimonia fu davvero particolare. Un coro che intonò l’Ave Maria come se si trovasse a La Scala e i voti pronunciati in italiano dallo sposo furono responsabili di qualche lacrima tra gli invitati.
I festeggiamenti furono una vera bomba. 
Facemmo il nostro ingresso nel locale direttamente dal mare, su una zattera bianca guidata da uno pseudo gondoliere con un sottofondo musicale a cura di un sassofonista.
Tra ogni tipo di pietanza a base di pesce, balli scatenati che facevano concorrenza ai migliori film di Bollywood e fiumi di whisky che riempivano i bicchieri al posto dell’acqua, la festa si trasformò in una unione allegra e armoniosa di diverse culture, che sembravano conoscersi da una vita.
Per anni sentii ancora parlare di quel giorno.

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