martedì 29 ottobre 2019

I matrimoni




Se lei è cattolica e lui induista, se entrambi costituiscono una coppia aperta, tollerante e rispettosa dell’essenza altrui, allora un matrimonio non basta. Ne serve uno cattolico, uno induista e un altro civile, dato che le cerimonie sono importanti, ma i pezzi di carta contano ancora di più.
I matrimoni sono stati tre. Ognuno di questi mi ha lasciato un ricordo piacevole e una serie di aneddoti divertenti che avrei voglia di raccontarvi.
Prima di tutto, molti di voi vi starete chiedendo il motivo. Perché sposarsi al giorno d’oggi? E perché per ben tre volte con lo stesso uomo?
In realtà, ci si sposa per vari motivi. Per far contente le famiglie. Per celebrare la propria unione davanti alle comunità in cui si è cresciuti. Perché quando ci si ama tanto, si è disposti a fare qualsiasi pazzia. Per assumersi un impegno. Anche se fittizio, è pur sempre un impegno. So bene che la gente ai nostri tempi corre dall’avvocato divorzista come se stesse facendo un salto dal parrucchiere. Eppure, mi piace pensare che dopo aver preso una decisione del genere, entrambi si impegnino a far durare questa unione per sempre. Non sarà un concetto del tutto fedele alla realtà, ma sicuramente nasconde una visione molto romantica della vita. Questo, non so perché, fa parte di me. 
Non fatemene una colpa!

La cerimonia civile
Lo sapevate che Copenaghen è la Las Vegas d’Europa? E non per la presenza di innumerevoli casinò, ma per i matrimoni lampo. Qui è possibile sposarsi in tempi brevissimi, senza lunghe trafile burocratiche e a costi ridotti. Questo ha contribuito a incrementare un certo business attorno all’evento del matrimonio, che sta facendo di certo un gran bene alla capitale danese. Se siete anche voi una coppia composta da due diverse nazionalità e volete sposarvi senza grandi complicazioni e in breve tempo, Copenaghen è quello che fa per voi.
Avendo altri due matrimoni da organizzare in due Paesi diversi, Italia e India, dove il rito civile purtroppo sarebbe stato possibile solo scalciando e sgomitando, noi decidemmo che questa cerimonia, sebbene fosse la più importante dal punto di vista giuridico, doveva svolgersi il più velocemente possibile e a costi limitati.
Con un volo Easyjet, che da Berlino ti portava entro un’ora a destinazione e costava molto di meno di certi treni nazionali, arrivammo al municipio della capitale danese con un paio di documenti tra le mani e tanta voglia di diventare sulla carta marito e moglie. Allo sportello informativo, però, incontrammo un primo ostacolo che col senno di poi ci fece morire dalle risate. 
Quello che sarebbe diventato mio marito è nato e cresciuto in India, ma all’epoca gli era stato conferito il passaporto tedesco solo perché era riuscito a concludere gli studi in Germania e a ottenere un contratto a tempo indeterminato (da notare come l’Italia rispetto a questo sia lontana anni luce!). Io, dal canto mio, ero in possesso come tuttora di una carta d’identità italiana valida e riconosciuta a livello comunitario. 
Ebbene, l’impiegata danese non batte ciglio di fronte al passaporto tedesco di un tizio dai connotati non propriamente teutonici, mentre storce il naso davanti al mio documento, non ritenendolo sufficiente. La gentile signora pretendeva che le consegnassi il mio permesso di soggiorno.
Ora, capisco che l’Italia stia pian piano perdendo il suo peso a livello internazionale, ma trattarci addirittura da extracomunitari mi pare un po’ troppo. All’epoca, non capivo per quale motivo quell’impiegata fosse stata assunta, ma non di certo per la sua competenza.
Senza di lei, avremmo speso meno tempo a ottenere il nostro appuntamento per il rito civile. Fummo sbattuti da un altro impiegato, il quale dovette riconoscere che io da cittadina italiana potevo ovviamente trasferire il mio bel culetto in un qualsiasi Paese dell’Unione Europea, senza dover sprecare la carta per stampare il permesso di soggiorno.
Ritornammo dopo appena due settimane nello stesso municipio. Ci sposammo alla presenza di un incaricato che parlava un discreto tedesco e un altro tizio che evidentemente di mestiere faceva il testimone di nozze. Uscimmo dall’edificio dopo neanche dieci minuti con un certificato che dichiarava in quattro lingue diverse il nostro avvenuto matrimonio e, a dispetto dell’impiegata inesperta, dichiarammo compiuta la nostra missione.

Continua…

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